
Svegliarsi accanto a te.
Il letto è freddo. È un mattino di Marzo. Che graffia. La notte non ha lasciato profumi. Un battito d’ali s’accascia. Si bagna. E bacio una coscia del tuo corpo anemico.
Vorrei… vorrei… affondare le mani nel tuo amore dischiuso per me, come un fiore, grande, che svuoto. Lascio scivolare via la tenerezza di ogni volta che corri a leccare le mie ferite e allargo la cassa toracica per rientrare in questo Corpo non mio. Più umano.
Chiudi gli occhi. Non fissarmi.
Svegliarsi accanto a lui.
Voglio una carta assorbente che s’impregni della mia rabbia.
E ti bacio tra le cosce e non voglio che te ne vai. Voglio massacrarti a mani nude e leccare il sangue caldo non coagulato che scivola via dal dorso della mia mano. Voglio tamponarti la piaga con la mia rabbia. Come Atropo recidi il mio filo. Disintegrando legami mai nati, mai spenti. Sognati. Piccolo sfregio sul lato sinistro del petto. Il morbo corrode le vene. E brucia. S'appiglia, s’impiglia alle fiamme. E brucia. Consumo il mio corpo e latente ragione evapora piano. Come Atropo recidi il mio filo. L’ultimo appiglio alla crosta del cuore.
Vaffanculo.
M’hai reso una cagna perfetta. Iniziata al distacco aprendo le cosce mi lascio cadere. Nel buio del mio stesso corpo. Inseguo qualcosa di vergine per non soffocare. Che sia un organo, un liquido, un osso. Se potessi tagliarmi le mani, asportar la vagina e cavare questi occhi. Per affievolire ricordi e speranze. Per deporre nella pietra passioni. Crocifisse al tuo albero gelido. Al tuo cazzo trionfante.
Mi sento terribilmente sporca.