Neoromanticherie #2


Il silenzio divora ciò che non riesco a piangere,

il vincolo del sonno adora l’anestesia,

abbraccia il brandy. 

Le tue dita mi scompongono il viso.

Io non ti conosco.

Grido dalle orecchie, trucco sugli occhi capovolti.

Le mie lacrime salgono fino al cielo. 

Troverai le labbra del mio seno lungo la tua via.

Raccoglile.

Tutti i nostri fuochi sono azzurri, io sono un clown 

tu la dannazione,

troverai la lingua del mio ventre lungo la tua via, 

dissipami.

Sono l’equazione dei tuoi giochi incomprensibili, 

ma lo sai che nel mio mondo non hai volto. 

Signore dei miei brividi,
ottenebra le braccia dell’impulso,

soffocami. 

Devo toccarti, scandisci la parola carne.

Carne. Devo straziarti.

Dimmi che sei caldo come il sangue.

Specchio della mia moltitudine, penetra la notte come il sole,

mordi la purezza, il confine del buio:

tutte le nostre notti sono rosse.

Angelo dell’indecenza,
tradisci il pallido meriggio, il freddo opaco del tuo letto,

l’odore di femmina, l’implacabile attesa delle tue mani stanche. 

Il tuo nome ingoia gli organi dell’invisibile:

Il sole sorge e tramonta solo per noi.

Esattamente un anno fa, scrivevo...


Io non lo so perchè. Mi sveglio stamattina e voglio il tuo cazzo tra le labbra come una dose di anfetamine abbondante nel mio portapillole Hello Kitty. Voglio leccarti fino a quando - O mio Dio - fino a quando muori, o muoio, o chissenefrega dimmi che vuoi che continui per sempre, dimmi che vuoi che mi uccida per sempre. Tu che apri le cosce scivolando nella poltrona e premi la mia testa sul tuo cazzo mentre ti succhio. Sempre più dentro. Sempre di più, di più. Scopami l'anima, il cuore. Affogare tra le tue cosce aperte...
Mi inginocchio davanti a te - piccola gatta - timidamente cercando il piccolo buchino vergine di quel culo con la punta della lingua, e vorrei avere corolle di labbra per ogni centimetro di te, voglio tutto, ascoltami, tutto. L'hai sempre saputo che non sono fatta per le mezze misure.
Per favore. Taci. Mentre. Stiamo. Scopando.

Muto teatrale



Eccomi qui, dritta davanti a te.
Non ho niente da nascondere, tranne l'incresparsi del mio labbro superiore quando ti volti e non mi guardi [nausea]. Vorrebbe essere un sorriso di quelli affissi a un'espressione murata. Una crepa.
...Una ruga...
Ti dico sono qui, [e rilassa i muscoli del ventre a simulare un corpo gravido].
Dici che sono vuota, ma non guardarmi con quegli occhi.
Non guardarmi con quegli occhi! [grida]
Eccomi, in equilibrio sui miei piedi. Sto muovendo i primi passi, o gli ultimi? Non ho mai capito che si poteva correre. [corre in cerchio]
[si ferma]
Sono una donna.
Potrei essere la tua donna, o la donna di un altro. Le femministe vorrebbero sentir dire la donna di nessuno, ma non fa per me, nessuna donna basta a se stessa.
Fanculo, la vita va mangiata con qualcuno! Ho divorato tanti cuori e ogni volta avevo ancora fame.
Se mi tocchi tra le cosce, mi sentirai umida come dopo aver pianto. Piango tra le cosce, io.
E ho gli occhi asciutti come due bottoni d'osso.
Ti piace quando piango... ti svuoti dentro di me e mi schiaffeggi come fossi la tua dipendente. Ma io non ti sento, non ti conosco. Ti sei mai chiesto cosa fai mentre mi scopi? ti sei mai sentito nel corpo di un nemico? Tu vieni a svuotare il tuo mondo nel mio, ed io non ti accolgo, ti butto appena te ne vai.
Fiuti il mio odore, ti piace, lo so.
Annusi l'eccitazione.
Affiora dalla mia carne pulita qualcosa di sporco.
Carne pulita.
Bianca. Inespressiva. Inodore.
[si stringe in se stessa]
Cresci e cresci e non esplodi mai, ed io ti divoro attraverso me e sei lontano, diverso, estraneo. Guarda le stelle come non si toccano e non si conoscono, e bruciano ognuna per se stessa. L'idrogeno è nocivo, l'idrogeno brucia, l'idrogeno esaurisce. Ti guardo da lontano e lentamente soffoco.

GlamO'drama #5



Robert Smith che canta Picture of you e l’universo che impazzisce con me dentro, come un gatto imprigionato in una lavatrice accesa muore nel suo piccolo uragano elettrico, ed io che dimentico di preparare il pranzo e rimango a cantare con gli occhi immotivatamente lucidi e le cosce scomposte in modo plastico. Succhio gambi di sedano ed è già pomeriggio, cazzo, identico a ieri, ed io ho sete di immortalità.

E stasera esco con un uomo diverso, e lo so che tra capelli e trucco e foto per immortalare i miei vent’anni non riuscirò a combinare niente. Rimpiango il liceo meticolosamente scandito 8.30 – 14.30: Le notti ed i giorni si somigliano, sbiadiscono gli uni negli altri senza definirsi mai e passano a miglior vita come morti bianche.


Quello di stasera è un avvocato basso dal culo carnoso, mi passa a prendere in macchina e mi porta in un appartamento noleggiato traboccante di specchi che sembra vogliano rubarmi l’anima e lasciarmi vuota come la scorza secca di un’arancia. Stasera mi sento impietosa. Lui si inginocchia e blatera parole che non ricordo e supplica ansima si piega come un verme: ed io lo so che gode e che vorrebbe che fossi sua, soltanto sua, nient’altro che sua e lo riempio di calci, il verme, calci ben assestati nel suo ventre poco sodo, e mi tolgo gli stivali per picchiarlo meglio, e striscia davanti a me col sesso umile e turgido, e vorrei che implodesse, che si contorcesse fino a spezzarsi. Il punto è che il mio disprezzo corrode solo me e tutto ciò che ho intorno gira gira e gira nel proprio senso ignorando il mio, e mi sento anche io un piccolo insetto impotente, e non posso ammazzare questa larva dal cazzo inesistente che mi lascia 200 euro sul comodino della stanza e se ne va, ed io già non ascolto più quello che dice mentre si riveste e abbandona la scena come un granchio dopo aver baciato i miei stivali e poi il pavimento ed il bicchiere sporco di rossetto Rouge lacca che mi riempie sempre di tristezza, come una vecchia diva che guarda foto sbiadite della giovinezza.
Apro il frigorifero e bevo del Crystal lasciato lì dal verme. Alcune gocce rigano il mio mento e cadono sul corpetto, lentamente, macchiandolo.
Mi affaccio al balcone e vedo il cielo incerto, grigio smorto, su uno scorcio di città che non mi appartiene, e mi mancano i profili conosciuti adagiati davanti alla mia finestra che non guardo mai ma ci sono sempre, un po’ come i nonni, quando stanno male e ti rendi conto che non gli hai mai detto ti voglio bene.
E questo cielo pesa, nessuna nuvola intacca nessun colore, e sembra l’acquerello pallido di un pittore respinto, che affoga i sentimenti sulla tela opaca e dipinge col petrolio che mi cola addosso.
Torno a casa relativamente presto, mi districo tra le strade pensierosa e svelta mentre la luna alta e sorniona ondeggia dietro i palazzi che circondano il laghetto. Sull’autobus i ragazzi per bene in felpa Guess e pantaloni necessariamente D&G vorrebbero non guardarmi dall’alto dei loro futuri preimpostati ed invece lo fanno perché la ragazzina a fianco probabilmente scopa come mia nonna e puoi scavare un buco nella sabbia umida, è lo stesso, e gli uomini sono animali e le donne sono animali insicuri e non va bene. Ed io li vedo questi protodirigenti a farsi sodomizzare da trans folcloristici e troie datate e venire fino a morirne e poi tornare dalla nel frattempo mogliettina che continua a scopare come mia nonna, solo ogni week end perché in settimana lavora. Questa tristezza mi diverte, e mi distoglie dagli immigrati senza la poesia dei Modena City Ramblers che dal fondo dell'autobus mi lanciano occhiate e li senti puzzare carichi di sesso, e piscio, e sudore e vorrei quasi morire perché la tristezza prima amaramente diverte e poi contagia ed è tutto troppo simile ad una macelleria, invece è il mondo che ti divora, che è sempre affamato e puzza, si decompone, brilla e si trascina ed io con lui, tentando di scappare.
Non ricordo più quand’è stata l’ultima volta che ho tentato di cambiare il mondo.
La città è illuminata come un presepe ateo, e mi va bene così.

Intermezzo lirico #


La verità è che vorrei andarmene lontano come i cani quando stanno male. Lontano, in un campo dall’erba alta perché nessuno mi ritrovi. Immagino di accasciarmi sulle ginocchia, tra le sterpaglie, di non preoccuparmi più delle bottiglie rotte, delle spranghe, degli aghi che mi rigano i collant: scomparire piano, come se veramente fossi abituata a scoparire tutti i giorni.
La verità è che non so dove andare. Chi sa dove andare?
Ahah, stronzi.
La verità è che gli occhi sono le finestre murate di una prigione che mi tiene volta all’interno. Come gli antichi ginecei senza finestre sulla strada. Raggomitolarmi tutta intorno al mio sguardo, affinche mi rivolga qualche lacrima. Solo per me. Tutta stretta intorno al volto come una sciarpa, come una mamma, come l’infanzia.
Adolf Hitler aveva una cadenza molto musicale, nel XXI secolo sarebbe diventato una rockstar.

just a selfportrait

'Cause everything is a drug.
Sex.
Violence.
Sushi.
Pain.
Everything is a drug.
Everything is a drug.
Everything is a drug.
Everything is a drug.
Sickness.
Glamour.
Everything is a drug.
Epidemic is a drug.
Ugly bitch in your brain is a drug.
In your brain.
Brain.
Drug.
Everything is a drug.
Lagerfeld.
Vomit.
Shopping.
You.
I shall fuck you like a drug.

GlamO'drama #4


Hai buttato due anni della tua vita piegata su quella merda di cesso e nessuno ti perdonerà mai niente, nessuno ti ridarà mai niente.
Abbuffate compulsive prima d'amore, poi di cazzo, poi ancora di stronzate firmate, di cibo, di associazioni ridicole pro e anti.
E adesso?
Tra poco non avrai più fame di nulla.

Stringi tra le tue braccia questo corpo nuovamente disfatto, solo che adesso lo senti un pò come la fine. Un pò più tuo.

Non è più un estraneo, è solo stanco.
Sei solo stanca.
Stanca.
Sono solo Stanca.
Tanto stanca.

GlamO'drama #3



Dico vaffanculo. Urlo vaffanculo e mi ritrovate a casa nel bagno e mi lavo le mani quasi fino a strapparle. E ancora questa è la mia vita ed io non so come viverla e mentre continuo a non saperlo non la vivo e ancora vaffanculo.
Bimba, gli anni passano.
Perché non ho ricordi? Gli eventi sono scivolati su di me senza attecchire. Da una solitudine all’altra pensavo di sopravvivere e non ho mai capito che la vita era altro. Qualcuno ha succhiato via la mia cognizione delle cose, potrei scopare o guardare un film o comprare cravatte non sentirei la differenza, sospesa in questo stato ovattato di incoscienza in cui il bicchiere non è mezzo pieno ne mezzo vuoto, i suppose.


Devo fermarmi e riprendere fiato.
Il mio ultimo fidanzato ha boicottato la mia vita ed ora si diletta nel letto fresco di una minorenne. Il problema degli uomini sentimentali è che non provano sentimenti reali, ma s' impegnano ad identificare chiunque possa incarnare la loro idea dell’amore nell’amore stesso. Questi innamorati dell’amore hanno donne senza volto, e dimenticano, ricominciano, soffrono, e ricominciano ancora, ed io provo tanta pena e rabbia e rassegnazione e vorrei che dopo di me morissero per l’affronto di ricominciare.
Di sopravvivermi ogni volta.
Mi ha lasciato per cattiva condotta.
Perché io sono romantica soltanto nella perdita.

C’è sempre un punto – dico – dove tutti si fermano ed anche tu ti fermerai. E vorrei che violentassi quel punto con ferocia e mi costringessi a parlare, come un orgasmo doloroso, senza cancelli, e filtri, e limiti, e labirinti. Vorrei metterti in mano il mio cervello e chiederti aiuto. Ma tu non esisti se non quando mi penetri attraverso il cazzo di qualcuno. Ed io che ti chiedo la mutilazione dei miei vent’anni sporchi rimango inascoltata in una pose patetiche mentre gli occhi guardano oltre. Vorrei che mi diceste questo è amore, questo non è amore, questa è dignità, questo è orgoglio, questa è mancanza, questo è perdono. Sono cresciuta ignorando qualsiasi termine di paragone, io non so niente, questo è il mio candore. E conosco soltanto la noia e me stessa da cui qualche stronzo saltuariamente mi distoglie.

Pensiero di oggi/disincanto


mercoledì 12 Gennaio 2011

Piove. Il ponte bagnato come una lingua nera, pende su un esofago salmastro. Adoro camminare sotto la pioggia lungo ponte Marconi, la sera, fino alla metropolitana grigio incubo. Sull'asfalto lascio scivolare i corpi gonfi dei brutti pensieri, la mia mente che non fa pipì da secoli e finalmente può non si trattiene. Sto bene.
L'adolescenza ci ha trascinato ai ventitrè anni a bordo di un vagone Alta Velocità. Siamo scese con l'amaro in bocca e un pò stordite, e quasi sembrano un'anacronismo, ora, le lacrime, le minigonne, l'isteria, l'amore.


Tutte le parole d’amore che ho scritto, le ho scritte per persone che non esistono.

Ogni volta che facevo sesso, da ragazzina, tornavo a casa e mi stringevo forte l’orsacchiotto al petto.


Da qualche parte ho letto che la misura dell’amore è la perdita. Scandisco: la misura dell’amore è la perdita. Accompagno le sillabe con le labbra turgide di Diorkiss alla menta ultrabrillante e il risultato è comunque amaro. Le parole sono ostili.


I am tired, I am weary
I could sleep for a thousand years
A thousand dreams that would awake me
Different colors made of tears.

GlamO'drama #2



Rew.
Riavvolgi tutto.
Comincia dall'inizio.
Incursioni da overdose permanente in pink alle fragole urlante Cherry soft Cherry soft. Ho gli occhi stanchi. Disintegro i contorni. Dita sudate. Disintegro i profili. Sgranami gli occhi e componi pezzi di carne di collage organico bene assortito. Stampa lo sguardo in serie glitter con ombretti incorporati di vetro frantumato illuminante. Imbarazzante. Chimeriche lenzuola opache come carne di morto. Non mi districo. Non mi districo. Amori tossici. Questo non è un amore vero. È un buco perverso. Bulbi rovesciati e vulve troppo aperte. Questo non è amore vero. Labbra che si spezzano . E scivolare nel ventre appena insieme ad una goccia. Rappresa allo stomaco come un grumo non sono assorbita.
Ok. Dico riprenditi.
Stanotte niente luna. Il quadrato di cielo che la finestra della mia stanza ritaglia è cosparso di stelle: grumi di zucchero sfuggiti alla mano di un pasticcere distratto per glassare un'infinita torta viola.
Sono le tre e venticinque di una domenica sorridente.
Il ragazzo di questa sera era incredibilmente magro e bianco. Penso alla sua pelle senza peli. Vomito un po’ e bevo dal cartone del latte. Ha la mia età e so già che non lo rivedrò, scrive poesie mediocri e parla troppo. E troppo in fretta. Io gli dico calmati, sta calmo, rilassati. Lui mi offre da bere e dice vieni in bagno. Sorrido. Sta pensando che sono bella quando sorrido. Dico ok, ti raggiungo. Per un momento leggo i sottotitoli, dicono noia noia e noia. Lui mi aspetta alterato dalle luci blu dei cessi e quando mi vede arrivare è già gonfio. Mi bacia ed il suo alito puzza di vermut. Quant'è bella giovinezza. La scena dopo lui è fuori depresso ed io sono piegata sul bordo del water a vomitare.
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Nemmeno la mattina respira.
Sento i latrati di cani che litigano lontano ed una festa nella casa di sconosciuti a fianco alla mia: risatine, urla, commentano voti, voti e voti a intervalli di vacanze in riviera e risatine monotimbro. Universitari. Sbornia post esame di analisi matematica che dura fino all’alba perché lunedì è un nuovo giorno.
Ditemi che cosa dovrei fare. Non ho mai sonno alle tre del mattino, in TV i Ragazzi del muretto, tutti dormono, fuori è pieno di stronzi. Penso non c’è proprio niente da fare. Leggo qualche pagina del De rerum a intervalli di vuoto. Chiudo gli occhi sdraiata sul letto disfatto. Percorro con le dita sudate i ricami floreali del materasso: immagino prati verde acido e innocenti, piccole margherite. Le margherite sono vergini bianche ed il verde è troppo verde. Margherite e acido. Il verde non è pulito. Chiudo gli occhi.
Stupri pop art.

GlamO'drama #1


Le cose vanno e vengono, nel lasso di tempo che basta appena a farci rendere conto della loro venuta. Nel momento in cui scrivo, un amico conosciuto da mezz’ora mi chiede perché piango. Farfuglio poche cose e penso che stanotte stringerò me stessa ancora più forte, ancora più sola e ancora più forte, ma va bene così.
E poi stanotte il buio è meraviglioso. L’aria, stordita dalla luce dei lampioni, è carica di umidità, e assume una consistenza ovattata. Il tempo sta cambiando, l’autunno è arrivato improvvisamente, gravido di pioggia.
Spengo il cellulare , ok, mi ripeto, va bene così, va bene così. Un tantra. Va fottutamente bene così. Bestemmia. Cazzo.
Nel frattempo voglio PurePoison, e mi sento l’eroina di un’epoca. Maria Antonietta, Lou Salomè, Sylvia Plath, io. La mia vanità si cristallizza in qualche attimo, poi mi sento inutile.
Non sono più Sylvia Plath, Lou Salomè, Maria Antonietta. Sono la vita di F. che si è persa F. lungo una passeggiata e se ne va in giro senza faccia, senza identità.

E mia madre torna a casa e mi urla contro in ordine sparso parassita rovina nullafacente cattiva persona mostro. Come tutti i pomeriggi.
Dico vaffanculo mamma, potevi pensarci due volte prima di cagarmi fuori dal quel buco molle e lasciarmi qua, senza madre, senza padre, senza un cazzo di nessuno a cercare di crescere senza storcermi troppo e cadere non proprio nel fondo ogni volta. Dico vaffanculo brutta troia, scopa con criterio. Sono bulimica, mamma, e scopo ogni volta con uno diverso, mamma. E bevo birra chiara dopo ogni pompino, mamma. E sono ingrassata, non mi entrano i vestiti di latex, chi mi riaccompagnerà a casa stasera? Nessuno mi riporterà a casa stasera. Sono brutta, dici, truccata così? E tu che ne sai? Che cazzo ne sai dall’alto della tua sapienza materna, stronza. Piango che cazzo ne sai. Stronza. Mi lasci qui senza madre a cercare di crescere senza dare troppo nell’occhio. Senza nessuno. Ti sei lasciata scopare per partorirmi e crescermi a odio. Rovino le tue immagini da casa moderna e famiglia Barilla e così tu mi sputi addosso veleno ogni volta, leggermente lontana dai tuoi parametri Happiness poesie clericali mi spiace tanto la vita è bellissima. Però sono bravissima a fare i pompini, mamma, lo sai? Un vero talento. Sono bravissima a vomitare la cena e poi il pranzo e poi ancora la cena. L’importante è pulire il cesso appena finito. Cesso pulito per gli ospiti.


Annullarsi. Distruggere questa persona decisamente non voluta e un poco fragile che annaspa per non affogare. Se fosse per bene faresti del mio culo un business. Ma tu sei una donna per bene.

Stasera mi faccio scopare con forza da un attore di teatro davanti allo specchio grande del suo appartamento in centro. Ho bisogno di bruciare calorie e febbre e rabbia e me stessa. Principalmente me stessa. Lo specchio è ampio, proprio di fronte al letto molto jap stile accanto al quale è poggiata la statua di una dea indiana dalle molteplici braccia su cui poso uno alla volta i miei vestiti. La dea indiana sorregge il mio reggiseno dalle coppe vuote come due uteri tristi. Mi spoglio con la tranquillità di chi è abituata a spogliarsi e quasi mi sento un po’ vecchia.