Crescendo

Avevo perso la capacità di aspettarmi qualcosa; qualsiasi cosa succedeva, scorreva subito lentamente via, trascinata dalla schiuma del fiumiciattolo grattato lungo la costola sinistra del fondo. Lasciavo scorrere via i giorni, la rabbia, i pensieri felici per paura che volessero ammansirmi, i pensieri infelici per evitare che s'incancrenissero, accovacciati nel ventre. Ero convinta che un giorno sarebbe successo qualcosa di eccezionale, che mi avrebbe distrutto, e salvato, e non c'era bisogno che aspettassi. Continuavo ad essere la stessa, attaccata alla vita come una gramigna, testarda come una capra e viva come un' erbaccia, anche se nel mio inverno nessuno poteva supporre che dentro affondassi le radici fino a spezzare le unghie contro i sassi. Ero forse sempre più viva, e piena, e forte, perchè la vita scorrendo scavava la profondità del fiume fino ai miei nervi scoperti, alle più piccole terminazioni nascoste tra fango e terra, e mi rendeva segretamente sensibile, nevrile, fertile. Io affondavo i piedi nello sterco, per questo tutte le sere facevo il bagno: l'idea di poter avere le unghie sporche mi faceva impazzire. Ogni mattina affondavo nello sterco dei piedi bianchissimi.